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Archive for agosto 2008

Libri d’estate…

Dopo una lunga pausa, torno a parlare di libri…Ecco qualche pensiero su quelli letti di recente (se ne cercate uno magari rileggete anche qualche vecchia recensione, ce ne sono parecchie dei mesi passati):
 

Alessandro Baricco – Questa storia

Questa storia è una storia. Una storia strana, di quelle al limite della realtà che solo Baricco sa raccontare con la sua penna tanto originale quanto lucida e raffinata. È una storia che può essere realmente accaduta, di quelle che raccontano i vecchietti seduti davanti a un bar di paese mentre giocano a carte o in compagnia di un bicchiere di vino, ma a cui nessuno probabilmente sarebbe disposto a credere. La storia del novecento italiana raccontata attraverso le vicende di un uomo, con la sua infanzia, le sue passioni, i suoi amori, le sue idee, un uomo che diventa vecchio cercando di mettere in ordine il mondo. Uscito nel 2006, questo libro regala un’ulteriore prova della capacità narrativa di Baricco, che pur non raggiungendo quei picchi di poesia che si possono trovare in Oceano Mare o in Seta, ci spinge alla riflessione e apre i nostri occhi sui conflitti interiori dell’uomo del Novecento, con i suoi tarli mentali e la sua incondizionata volubilità. Da leggere. Voto: 8

  

Luis Sepulveda – Il vecchio che leggeva romanzi d’amore

Certe volte ti aggiri senza meta nel fresco dell’aria condizionata di un supermercato di agosto e ti imbatti in un libro che ti richiama dall’alto di uno scaffale, uno tra tanti. È così che ho scoperto questo racconto, è bastata un’occhiata alla copertina e uno sguardo alla recensione per capire che era da leggere. Sepulveda, autore di cui avevo sempre sentito parlare, ma di cui non avevo mai letto nulla prima d’ora, si inserisce in quel filone di narrativa che dipinge con un tocco di  magia e un pizzico di triste disincanto le vicende e le leggende del mondo latino sudamericano, della foresta amazzonica fino alle coste caraibiche. Il personaggio principale del racconto, un vecchio dal passato travagliato e da un amore incondizionato per la natura che lo circonda, somiglia molto ai personaggi di Gabriel Garcia Marquez, che a quel mondo ha legato la sua fortuna letteraria. Un romanzo conciso, ricco di emozioni, una cascata di sensazioni, un misto di vitalità e al tempo stesso malinconia per un mondo che ormai sta scomparendo, inghiottito dalla modernità e dagli affari. In definitiva un libro da leggere. Voto: 8,5

 

 

Roberto Saviano – Gomorra

Molto probabilmente su questo libro già è stato detto tutto, per cui è difficile aggiungere altro. Il sottotitolo è quanto mai descrittivo dei suoi contenuti: “Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della Camorra”.
Saviano racconta con lucidità e dovizia di particolari i meccanismi e gli ingranaggi che fanno girare il Sistema, le cui ramificazioni si estendono in tutto il mondo, dall’Europa dell’Est al Sudamerica, dalla Cina fino all’Africa. Luoghi simbolo, terre di nessuno, dove lo Stato non esiste. Secondigliano, Scampia, Casal di Principe, Casavatore, Mondragone, luoghi che marchiano a fuoco chiunque nasca in quelle terre, dove la legalità e le istituzioni sono parole fuori dal vocabolario, cancellate da decenni di  dominio incondizionato dei cartelli criminali, che gestiscono qualunque cosa, dal traffico di droga a quello di rifiuti, dal cemento alle estorsioni. Attraverso l’appassionato racconto è possibile entrare nel porto di Napoli per seguire le merci provenienti dalla Cina, capire la genesi dei beni di lusso dei grandi marchi del Made in Italy prodotti nei sottoscala di periferia e venduti a prezzi esorbitanti nelle vie dello shopping delle metropoli di mezzo mondo, entrare nella faida che ha insanguinato Secondigliano nel 2004-05, scandagliare il traffico di armi e di droga, smascherare appalti truccati e politici corrotti, seguire i rifiuti sotterrati in qualche cava dimessa del casertano, con buona pace delle coscienze degli imprenditori di mezzo Nord Italia. Gomorra è un libro che non lascia indifferenti, è un libro che ti lascia l’amaro in bocca e un senso di impotenza, in qualche passo può scendere anche qualche lacrima, per storie di persone che non hanno scelto di fare quella vita ma che ad ogni costo si sono dovuti piegare a un mondo di ferocia, abbandonati dallo stato e dalla società civile. Grida nel suo silenzio questa terra. Grida silenziose che nessun per anni ha ascoltato, dedicandole solo qualche trafiletto nella pagina di cronaca nera e la solita banale riflessione del sociologo di turno. Un libro che tutti dovrebbero leggere. Voto: 10
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Operazione “Tuk tuk”: Mahdia, Tunisi, Cartagine, Sidi Bou Said

Eccomi qui, di ritorno da una settimana intensa e molto interessante nella vicina Tunisia. Dopo parte d’Europa, d’Italia e un pizzico d’America ci siamo lanciati alla scoperta dell’Africa, anche se quella più vicina, che profuma d’occidente ancor prima che di sterco di cammello. Un paese strano, la Tunisia, un ponte interrotto a metà nelle acque del mediterraneo, pochi chilometri dalla sicilia, di cui la zona costiera condivide pressapoco lo stesso clima e la stessa vegetazione. Un paese islamico in rotta verso la civiltà occidentale, come sospeso a mezz’aria, un paese che guarda avanti ma che deve dar conto alla propria storia e al proprio passato. Così, come in un crogiuolo, ti capita di passeggiare per un nastro d’asfalto steso in mezzo alla sabbia e popolato solo di qualche arbusto rachitico e una palma solitaria, in cui pascolano scheletri di pecore e cammelli dall’aria bonaria, e vedere camminare fianco a fianco ragazze in jeans e top scollati e coetanee ricoperte di vesti dalla testa ai piedi, di solito di un colore nero che sa di morte dell’anima, di negazione di ogni diritto, con gli occhi bassi e lo sguardo impaurito. Donne ridotte a oggetto, schiave di un retaggio religioso per noi incomprensibile ma che anche molti tunisini faticano ormai a comprendere. Il tempo scorre, anche in questo pezzo di terra d’Islam, ce lo fa notare una vecchia guida dall’aria rassegnata per le strade di Mahdia. Prima non capiamo, ci indica qualcosa, un punto in alto, un minareto. Di quelli che vediamo al telegiornale quando si parla di paesi musulmani, con un sottofondo lamentoso, una cantilena che richiama i fedeli alla preghiera. Oggi non è più così. O meglio, è così ma la voce non è quella del predicatore solitario che medita dall’alto di una torre scintillante, ma la voce di una cassetta registrata amplificata dagli altoparlanti attaccati su in cima. Ironia della sorte, il progresso ha colpito anche chi più di altro il progresso lo combatte e lo osteggia. Il nostro viaggio ci conduce prima in aereo a Monastir, dove atterriamo su una pista fantasma tra mulinelli di sabbia e piccoli laghi scavati in depressioni del terreno brullo, resi bianchi dal sale che affiora sulla superficie. In pulmann poi raggiungiamo Mahdia, su strade che da noi difficilmente guadagnerebbero questo appellativo, a fianco del mare, tra casupole diroccate e palazzine in costruzione. Vediamo una donna anziana fare il bagno coperta da tutti i vestiti, purtroppo un’abitudine imposta a decine di altre donne, che non avremmo imparato a ignorare neppure nei giorni seguenti, con il sangue amaro di chi vede un’ingiustizia così grande e non può far nulla per cambiare le cose. Il nostro villaggio è molto carino, accogliente e a differenza di quanto ci aspettavamo anche multinazionale, con la presenza di tantissimi tedeschi, francesi e arabi. La Tunisia è un ex protettorato francese, così il francese è la seconda lingua, dopo l’arabo, anche se i mercanti parlano davvero tutte le lingue e non è difficile farsi capire anche in italiano, mente l’inglese è un oggetto misterioso. La lingua dei barbari per fortuna in queste parti non ha attecchito. Mahdia è un borgo di pescatori, un tempo città ricca, con una medina raccolta tra viuzze strette e tortuose, che portano al castello e al pittoresco cimitero, arcipelago di tombe bianche scavate nella roccia a picco sul mare. Ci andiamo prima in taxi, per perderci tra gli odori forti e le urla di un giorno di mercato, poi in tuk tuk, un tre ruote a sette posti aperto sui lati e dall’andatura barcollante. Visitiamo anche una casa tipica tunisina, con il patio interno e le pareti di maioliche. Ben altro discorso per Tunisi, la capitale, distante più di 300 km, che in un paese praticamente senza strade sono un’eternità. Una città che nonostante i suoi 2 milioni e passa di abitanti è difficile chiamare metropoli, con la sua medina enorme dove si può invecchiare contrattando un prezzo in un gioco delle parti nelle nostre terre non certo sconosciuto, con le sue case basse e i taxi sfreccianti. Andiamo al Museo del Bardo, il secondo dell’Africa per importanza, dove si nota l’impronta della cristianità e di Roma su questa terra figlia d’Europa. Una testimonianza resa ancora più evidente da Cartagine, con le sue Terme di Antonino, immensa orma lasciata dall’aquila imperiale su una città che tanto l’aveva fatta soffrire. Quindi Sidi Bou Said, un pezzo di Andalusia trapiantato a migliaia di chilometri di distanza, paesino su una collina a picco sul mare di casette bianche e azzurre e fiori di ogni tipo. Infine il ritorno a Roma, con un aereo cigolante griffato Tunisair, di ritorno da un viaggio che sicuramente ci lascia qualcosa, la conoscenza di un mondo così vicino geograficamente ma così lontano sotto tutti i punti di vista. Una cultura affascinante ma terribilmente pericolosa, un paese ricco di contraddizioni che solo il tempo potrà chiarire. In definitiva un paese da visitare.
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Finalmente vacanza…

Dopo un lungo periodo di lavoro, finalmente vacanza, fino al 24 agosto. Martedi si parte per una settiamana a Mahdia, Tunisia…poi vi farò sapere. Ci si vede a Benevento o in giro per il mondo. A presto e buone vacanze a tutti!
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